Tra qualche settimana il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, volerà in Guatemala per iniziare un prestigioso incarico internazionale voluto dall'ONU. Tradotto, sarà un tempestivo anno lontano dall'Italia nel pieno della bufera, che gli permetterà di rinforzare i legami con le élite internazionali e tornare nuovo e pronto per proseguire la carriera (politica?).
Cosa resterà dunque dell'inchiesta sulla trattativa tra Stato e mafia?
Forse qualche marginale frammento di verità sui fatti di venti anni fa. Rimarrà probabilmente il giudizio del Presidente su un procuratore di Palermo, parlando al telefono con l'ex ministro tanto ansioso. Rimarrà perché causerà le sue dimissioni, permettendo a questo parlamento (facilmente controllabile, con pochi gruppi, senza comunisti e grillini) di eleggere il successore, e qualcuno potrà finalmente passare all'incasso per i servigi di un paio di anni fa. Qualcuno che proprio ieri ha onorato a Palermo il giudice Borsellino e la sua scorta. Altri aspirano, ma passando da carnefici a vittime sono stati avvisati che non è aria.
E un paio di ex primi ministri, appartenenti alla stessa sponda politica, aspettano e sperano.
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