10 ottobre 2012

L'Italia della Uno bianca.


Il magistrato Giovanni Spinosa è stato titolare dell'indagine sui crimini della Uno bianca. Ha sostenuto l'accusa alla Corte di Assise di Bologna contro Marco Medda e tre giovani del Pilastro per l'eccidio del 4 Gennaio 1991. Un processo stravolto dall'arresto e dalle successive confessioni dei fratelli Savi, che portarono all'assoluzione di Medda e degli altri imputati.
Dopo tanti anni, Spinosa ha scritto per Chiarelettere un libro nel quale ricostruisce l'intera vicenda della banda della Uno bianca, dando vita ad un testo ben documentato, pragmatico, a tratti sconvolgente.



Dal 1987 al 1994 la banda ha collezionato una serie impressionante di crimini: rapine, estorsioni, attentati, omicidi, agguati. Sono elencati in appendice al libro, e fa effetto leggerli. Chiunque abbia sentito parlare della banda, sa che furono arrestati dei poliziotti, feroci assassini, fratelli avidi di denaro. Una sorta di impresa familiare, come descritto nella fiction andata in onda in televisione. E' una superficialità che viene squarciata dall'opera di Spinosa, che dimostra quanto enormemente più complessa sia la vicenda, ed anche i suoi protagonisti. I fratelli Roberto, Fabio ed Alberto Savi si proposero come unici responsabili dei delitti, con la saltuaria complicità di altri tre poliziotti. La realtà è ben diversa. Di chiaro, semplice e dimostrato c'è poco. L'analisi delle perizie,  delle confessioni dei Savi, degli atti dei processi, tracciano un quadro nel quale mancano i volti ed i nomi di altri protagonisti, che necessariamente devono aver partecipato ai crimini della banda. E' da mettere in discussione l'esistenza stessa di un'unica banda, e la presenza dei Savi in tutti gli episodi. Persino l'arresto dei fratelli ha modalità sconcertanti, tanto da far scrivere a Spinosa: "l'arresto dei Savi è, infatti, la fine, programmta da tempo, di una terribile storia di omicidi e di terrore".

Nell'espressione "programmata da tempo" è racchiuso il nucleo del libro, perché i comportamenti dei criminali durante le azioni della banda sembrano seguire un copione dettagliato, direttamente connesso ad altri episodi di violenza che caratterizzarono l'Italia a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta. Lo sceneggiatore aveva in mente la futura assunzione di responsabilità dei Savi, che hanno accettato il proprio destino, ottenendo probabilmente la ricompensa promessa. Un accordo surreale, che sembra muoversi fuori dal tempo, irrazionale. Ma chi è lo sceneggiatore? Perché viene ancora protetto da chi conosce la verità? Perché quell'ondata di violenza in anni così significativi per la storia dell'Italia?
Secondo Spinosa tutte le risposte non le abbiamo, ma qualcuna sì. I fratelli Savi avevano un business di traffico di armi in collaborazione con elementi della mafia e della camorra. Fornivano supporto logistico ad altri criminali, mettendo a disposizione armi ed automobili. Hanno mentito durante le confessioni, per depistare e coprire i veri responsabili, o corresponsabili. Come nel caso dell'eccidio del Pilastro, attentamente vagliato dall'autore.

Una sera di Gennaio, i Carabinieri Otello Stefanini,  Andrea Moneta e Mauro Mitilini persero la vita in un conflitto a fuoco che suscitò sdegno nell'opinione pubblica. Le modalità dell'operazione e la giovane età delle vittime, servitori dello Stato, portarono la strage alla massima attenzione da parte dei media. Ciò si tradusse anche in una pressione sugli investigatori, impegnati più che mai a trovare celermente i colpevoli. Ingredienti che sono svaniti nel tempo, fino a giungere alla confessione dei fratelli Savi, accettata dai tribunali e dai cittadini con la superficialità alla quale si faceva riferimento in precedenza, e che costò molto a Spinosa, accusato di aver sbagliato completamente la ricostruzione dei fatti. Quello che appare realmente sbagliato è invece accettare le dichiarazioni dei Savi. Solo per fare un esempio, non è credibile che la sparatoria ebbe inizio perché un sorpasso da parte dell'autovettura dei carabinieri fu interpretato dagli assassini come un potenziale preludio alla richiesta di fermarsi. Un capopattuglia del 113 non può pensare una cosa simile. E infatti i rilievi e le testimonianze oculari smentiscono una tale assurdità. La strage del Pilastro, come tanti altri episodi della storia italiana, è seguita da processi vagamente anomali, tanto da entrare a buon diritto nella categoria dei Misteri d'Italia. Anche in quell'occasione, come sottolinea naturalmente l'autore, è certa la presenza di altri soggetti nel luogo dell'eccidio, con un ruolo tutto da chiarire.

Una galassia di stranezze circonda le imprese della banda della Uno bianca, tra le quali le rivendicazioni della Falange armata, argomento trattato da Spinosa, ma non approfondito quanto mi aspettavo.

Il titolo del libro è quantomai adeguato, sia perché la vicenda della banda abbraccia più fenomenologie della criminalità italiana, sia perché è lì a dimostrare ancora una volta che le stragi sono avvolte dai misteri essenzialmente perché l'opinione pubblica non è avidamente a caccia della verità.

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