19 maggio 2011

La prigione fantasma.

Per conoscere la verità sul luogo di detenzione del prigioniero Aldo Moro e la dinamica del suo assassinio,  è sufficiente ascoltare o leggere le dichiarazioni dei brigatisti. Loro sono i protagonisti del sequestro, loro hanno allestito la prigione del popolo, loro hanno ucciso Aldo Moro.
Valerio Morucci, Adriana Faranda, Mario Moretti, Prospero Gallinari, Anna Laura Braghetti e Germano Maccari, nel corso degli anni, hanno rivelato dove fosse il covo, quali le persone coinvolte,  chi e quando sparò.
Roma, Via Montalcini numero 8, interno 1.  Renault 4 rossa. Cassa di legno. Cesta di vimini. Via Caetani.  Letto, firmato e sottoscritto. Perché parlare di prigione fantasma? Perché questa ostinazione da complottardi?
 
Sergio Flamigni, già senatore del PCI, membro delle Commissioni Parlamentari d'inchiesta sul caso Moro, sulla Loggia P2 e Antimafia, profondo conoscitore della materia, fornisce la più semplice delle risposte: perché i brigatisti mentono. Ognuno di loro racconta una verità, il più delle volte incompatibile con le versioni degli ex compagni.
Chi portò Moro in Via Montalcini? Impossibile rispondere, le versioni sono contrastanti. 
Com'era fatta la prigione del popolo? Impossibile rispondere, le versioni sono contrastanti.
I colloqui con Moro erano registrati? Impossibile rispondere, le versioni sono contrastanti. 
Quale fu la dinamica dell'omicidio? Impossibile rispondere, le versioni sono contrastanti.
 
Con il rigore che accompagna sempre i documenti ed i fatti, Flamigni ripercorre interamente la storia del covo di Via Montalcini, il coinvolgimento dei protagonisti, le risultanze investigative e peritali. Non vi è spazio per congetture, supposizioni, voli di fantasia o conclusioni affrettate, perché ogni cosa si palesa trasparente, limpida, e dimostra quanto sia irricevibile la verità confezionata in primis da Morucci, e successivamente avallata e goffamente arricchita dai suoi compagni. Una verità presentata nel corso degli anni, mai per caso, saldamente legata alle contropartite promesse e mantenute da settori della Democrazia Cristiana. Uno scenario quasi incontestabile, presentato con precisione e senza preconcetti lungo capitoli che si leggono con avidità, provocata dallo sdegno che scaturisce spontaneo, inevitabile. Come si può accettare la spiegazione fornita per la presenza di sabbia e bitume sugli abiti di Moro? Come si può accettare il racconto degli spostamenti da Via Fani a Via Montalcini? Come si può accettare il racconto dell'omicidio nel garage, l'orario, la sequenza dei fatti? Come si possono accettare i balbettamenti di Maccari?
Eppure sono in molti a farlo. Non solo, in molti combattono affinché non si sollevi più alcun dubbio, e difendono a piè sospinto l'indifendibile.
Da questo punto di vista, l'ultimo capitolo del libro di Flamigni, che riporta le conclusioni di Alfredo Carlo Moro nel suo "Storia di un delitto annunciato", è un macigno, di quelli che chiudono il discorso. Ma forniscono una gran quantità di stimoli.

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