8 febbraio 2008

Come Dio comanda

Un rapporto d’amore tra padre e figlio può nascere e crescere all’interno di un contesto felice, sereno, “normale”: una famiglia unita, due genitori che si vogliono bene, un’esistenza priva di sofferenze. Oppure può maturare in situazioni di estremo disagio, di solitudine, addirittura di disperazione. Ammaniti racconta questa realtà, il legame tra un padre solo, amante dell’alcol e filonazista, ed un ragazzino costretto a vivere la parte più dura della vita, quella che la grande maggioranza dei suoi coetanei non conoscerà mai. Un assistente sociale verifica periodicamente la capacità di Rino Zena di occuparsi del proprio figlio Cristiano, e periodicamente si allestisce il teatrino di una casa pulita, di un frigo pieno e di una condotta ineccepibile. In realtà Rino fa tutt’altro, ed in questo gli fanno compagnia Quattro Formaggi e Danilo Aprea, due ai quali calza a pennello la definizione di sfigati. Tra una rissa ed una bevuta, lo sbocco quasi naturale è il fantasticare su un’azione criminale che possa cambiare definitivamente la vita, e sarà proprio questo progetto, il saccheggio di un bancomat, ad accelerare il dramma.
Il romanzo è molto ben scritto, gli ingredienti di ironia e drammaticità si mescolano abbastanza bene, e soprattutto la narrazione dell’evento che fa da spartiacque tra il “prima” ed il “dopo” è possente, angosciante, coinvolgente. Io ho visto nettamente un richiamo alle tecniche di Stephen King, perlomeno il tentativo di tracciare i personaggi con la stessa brillantezza, con la stessa freschezza ironica. La cosa non è riuscita, a dir la verità, e spero di non essere condizionato in questo giudizio per la venerazione che ho nei confronti di King, re in tutti i sensi della valorizzazione dei personaggi minori, di contorno, con una capacità che Ammaniti non dimostra, almeno in questa occasione. Leggendo le storie dell’assistente sociale, o dei personaggi minori, si ha più la sensazione di un’esigenza di rendere corposa la vicenda, piuttosto che il gusto spensierato di dar sfogo alla fantasia. Non credo di sbagliarmi, perché in effetti la storia è povera, e a fine romanzo lascia poco. Non è un libro del quale ti ritrovi a pensare improvvisamente, mentre stai lavorando o mentre guardi distrattamente dal finestrino di un autobus. Si fa leggere, ti coinvolge mentre lo hai tra le mani, poi, quando lo posi sul comodino, è già volato via dai pensieri.
Vincitore del premio Strega 2007.

Nessun commento: