3 settembre 2010

Via Fani. Che accadde?

Secondo Eleonora Chiavarelli, la moglie di Aldo Moro recentemente scomparsa, chiarire le dinamiche dell'azione di Via Fani il 16 marzo 1978 significa evidenziare una grossa parte della verità circa il rapimento e l'assassinio del Presidente democristiano e della sua scorta (vedi mio intervento del 19 luglio 2010). Sono assolutamente d'accordo, anzi, per dirla tutta credo che parliamo di una parte molto grossa della verità.
E' sufficiente incrociare le varie testimonianze per avere un'idea chiara di quale sia la posta in gioco parlando di un argomento che, come la stessa signora Chiavarelli denunciava, è stato decisamente trascurato dalle indagini, e tutto sommato anche dalla saggistica successiva. 

Il 18 giugno del 1997 viene audito in Commissione stragi Valerio Morucci, ex brigatista protagonista dell'eccidio di Via Fani. Il Presidente Giovanni Pellegrino rivolge a Morucci una domanda precisa:  perché in quell'occasione indossate l'impermeabile dell'Alitalia e vi cucite sopra i gradi? Qual è la necessità del camuffamento, che negli altri attentati non avete mai utilizzato?
Anche la risposta è chiara:  perché in quel caso i tempi di attesa erano imprevedibili. Non solo, ma c'era la possibilità di tornare il giorno dopo, il giorno dopo ancora, e poi chissà quando, perché non c'era assolutamente la certezza che Moro passasse di lì quella mattina. La permanenza per troppo tempo in quella via di persone vestite normalmente non era possibile; per altro è una via residenziale, nella quale a quell'ora di mattina non passava praticamente nessuno e ciò ha richiesto di adottare questo stratagemma. Essendo un quartiere residenziale, dei piloti dell'Alitalla potevano non destare sospetto.


 Le spiegazioni di Morucci sono compatibili con le dichiarazioni non solo della signora Chiavarelli, ma anche dei suoi figli, che hanno ribadito più volte quanto fossero sostanzialmente imprevedibili gli orari di Aldo Moro, così come il percorso seguito dalla scorta.
Tutto normale, dunque? Nient'affatto, e per molteplici motivi. 
 
Ad esempio, Morucci perde credibilità se si pensa a quanto accadde ad Antonio Spiriticchio, il fioraio che abitualmente stazionava all'incrocio tra Via Fani e Via Stresa, e che la mattina del 16 marzo 1978 trovò le ruote del suo furgoncino squarciate. Secondo il racconto di Valerio Morucci, le Brigate Rosse avrebbero dovuto impedirgli di giungere in Via Fani tutti i giorni, fino al compimento dell'attentato. Francamente, è una tesi insostenibile.
Altro motivo, a mio avviso più importante, è costituito dalle testimonianze degli altri agenti che formavano la scorta di Moro, che per ovvi motivi di turnazione non era composta dai soli cinque uomini uccisi in Via Fani. Sia in sede di Commissione d'inchiesta, sia in sede processuale, le loro testimonianze sono quasi perfettamente sovrapponibili: il Presidente Moro era sempre puntuale, il percorso seguito era praticamente sempre lo stesso. L'esatto opposto di quanto dichiarato dai familiari di Moro. E' anche vero che, pur di fronte a palesi contraddizioni, non furono mai avanzate contestazioni serie ai testimoni.
 
Chi ha mentito?
Ritengo ragionevole prendere per buone le indicazioni della signora Chiavarelli e dei suoi figli, pertanto la verità è che gli spostamenti di Moro erano imprevedibili, sia in merito all'orario, sia in merito ai percorsi seguiti, anche perché è la logica di un servizio di scorta che lo impone, almeno sui percorsi. Ne consegue che Morucci ha detto la verità, ma a mio parere solo in apparenza. Questo perché le evidenti incongruenze delle testimonianze dei colleghi delle vittime di Via Fani raccontano una verità diversa, e cioè che per qualche motivo, pur in presenza di una effettiva imprevedibilità, gli assassini sapevano bene che quel giorno, intorno alle ore nove di mattina, gli agenti di scorta dell'Onorevole Moro sarebbero passati per quell'incrocio.
Queste probabili false testimonianze sono talmente inquietanti da aprire numerosi dubbi sull'intero episodio del 16 marzo 1978. Anche perché non sono gli unici elementi che mettono a soqquadro la verità ufficiale su cosa successe in quella via. Su chi c'era. Su chi sapeva. Su chi organizzò. Su chi ancora tace.
 
Ecco perché Eleonora Chiavarelli parlava di grossa parte di verità.

Ecco perché bisogna approfondire. 
 
  

3 commenti:

Anonimo ha detto...

E 'vero! L'idea di un buon supporto.
E 'vero! Credo che sia una buona idea. Sono d'accordo con te.

AL ha detto...

Ti ho appena scoperto tramite il blog di Repubblica.
In merito a quanto hai scritto, ricordo che durante una delle "Notti della Repubblica" di Zavoli, un ospite (non ricordo il nome, scusami) disse che lo stratagemma delle divise sarebbe servito per "riconoscersi".
Insomma: non tutti i componenti il commando si conoscevano tra loro prima dell'agguato. E qual è il miglior modo per identificarsi immediatamente? L'uso di una divisa, peraltro di un'arma improbabile in quella zona di Roma (il primo "serbatoio" di VAM lì vicino, si trovava a Trevignano... pensa un po').
Un saluto,
Alessandro

Domenico Geluardi ha detto...

A conferma di quanto dici, Alessandro, c'è l'aneddoto della signora che chiede ad uno dei brigatisti in divisa informazioni su un volo, e quello naturalmente non ha saputo proferire parola. Sicuramente il travestimento giusto per passare inosservati.....