E' difficile leggere i libri aventi come protagonista il commissario Montalbano senza associare i personaggi agli attori che li hanno interpretati nella fortunata serie televisiva della Rai. Chi riesce ad immaginarsi un Montalbano diverso da Zingaretti? E Catarella? E Mimì? E Fazio? Per me è un po' complicato, e a volte mi domando se questo sia un limite alla lettura di questi romanzi. Bisognerebbe sempre immergersi nelle pagine di un libro con la fantasia ben sgombra, lasciandosi guidare dall'autore, dalle proprie capacità, e dal caso. Con Montalbano faccio fatica. Le immagini della fiction saltano continuamente nella memoria, e allora la lettura corre su un doppio binario: quello delle pagine e quello della mia mente, infarcita di tv (caso più unico che raro).
A parte queste considerazioni, la lettura di "Le ali della sfinge" è piacevole, divertente come sempre. Il dialetto modificato da Camilleri è gustoso e per me doppiamente intrigante, vista la mia parentela siciliana. Tuttavia, questo è un romanzo probabilmente diverso da molti altri della serie, forse addirittura da tutti. Quello che in "La vampa d'agosto" era solo accennato qui diventa manifesto: Montalbano cresce, anzi, invecchia, con tutto ciò che esso comporta. Siamo abituati a personaggi più o meno fuori dal tempo, commissari che hanno sempre la stessa età, e che non affrontano minimamente le problematiche proprie di una mente che vede scorrere inesorabilmente gli anni. Per Montalbano, ormai 'cinquantino', è diverso. Per lui è tempo di riflessioni, di bilanci, anche di paura. E allora nascono i dialoghi introspettivi, attraverso l'artificio di un doppio Montalbano che si confronta anche aspramente con se stesso. Intendiamoci, le capacità investigative, la simpatia, l'umanità, l'anticonformismo del personaggio sono intatte, ciò che fa Camilleri è fare affrontare a Montalbano il percorso psicologico che mediamente segue ogni essere umano.
In tutto questo, almeno nel romanzo in esame, quello che ci perde è il giallo, l'intreccio investigativo, impoverito in una trama un po' banalotta, senza colpi di scena né sussulti. Qualcosa di parecchio lontano dall'abituale di Camilleri, ma che a mio avviso trova giustificazione nel carattere personale del romanzo, centrato appunto sull'umanità di Montalbano.
Scelta più che apprezzabile, tuttavia mi domando una cosa: perché solo il Commissario affronta questo aspetto della vita e gli altri personaggi no?
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